AlfaRomeo AlfaSud (1972-1983) altra icona degli anni 70
L’Alfasud è stata eletta “Auto degli anni Settanta” dalla rivista CAR; con 1.017.387 unità, l’Alfasud (comprese ti, Sprint e Giardinetta) è una delle Alfa Romeo costruita nel maggior numero di esemplari.

Molte ritengono che l’Alfasud sia stata la prima Alfa Romeo di categoria inferiore a quelle che oggi sono chiamate automobili di classe media. Già nel 1952 il cosiddetto “Progetto 13-61” andò vicino ad una tale realizzazione pianificando la costruzione di un veicolo di 750 cc. A quel tempo questo genere di veicoli economici era molto popolare in Italia. Giuseppe Busso, l’ingegnere incaricato, ideò un motore bicilindrico in linea raffreddato ad acqua che era la metà di quello della Giulietta dell’epoca che allora, con il suo motore 1300 cc, era ancora in fase di sviluppo. La Tipo 13-61 fu progettata con un motore disposto trasversalmente e freni a disco anteriori. Il progetto non fu mai effettivamente realizzato a causa dei costi ritenuti eccessivi dall’Alfa Romeo. Il secondo tentativo di disegnare una piccola Alfa Romeo prima dell’Alfasud fu la Tipo 103.
Per raggiungere quote di mercato consistenti in un segmento in rapida crescita, fu pianificata una vettura di segmento inferiore alla Giulietta. Nel 1960 un primo prototipo venne completato. Aveva un motore trasversale di 1000 cc a quattro cilindri in linea con il classico schema Alfa Romeo bialbero a camme in testa. L’auto era equipaggiata con un cambio a quattro marce.
Con 52 CV a 5500 giri/min era in grado di raggiungere la velocità di 130 km/h. Secondo Luigi Fusi, grande cronista conoscitore dell’Alfa, furono costruiti tre motori. Il corpo vettura a quattro porte venne disegnato con l’intento di risultare relativamente spazioso e anticipare le linee della Giulia, in favore della quale il progetto fu sospeso. Il prototipo di colore blu e i numerosi disegni (anche sugli studi aerodinamici) sono adesso ospitati nel museo storico di Arese, in Italia. Guardando la Renault 8 si può notare una somiglianza con la Tipo 103. La spiegazione sta anche nel fatto che all’epoca della Tipo 103, Alfa Romeo e Renault cooperavano. L’Alfa, infatti, costruiva le Dauphine e le R4 destinate al mercato italiano.
IL PROGETTO ALFASUD
Sette anni più tardi l’ingegner Giuseppe Luraghi intravide la possibilità di costruire una piccola auto capace di realizzare grandi volumi di vendita. La Tipo 13-61 e la Tipo 103 furono, però, destinate all’oblìo a causa di un tacito accordo tra Fiat e Alfa Romeo con il quale l’Alfa si impegnava a non costruire automobili di segmento inferiore a quello di Giulietta e Giulia, e la Fiat, d’altra parte, prometteva di non cimentarsi nella costruzione di auto sportive o berline dalle elevate prestazioni.
Giuseppe Luraghi decise, però, ugualmente di costruire una piccola Alfa Romeo e le cose procedettero in maniera molto rapida. Egli convinse il governo italiano a fornire un supporto economico, il quale accettò ma pose la condizione di costruire la nuova vettura nel sud del Paese per consentire di arginare l’emigrazione di giovani che, non vedendo davanti a sé stessi alcuna prospettiva concreta di futuro, si spostavano massicciamente verso il più ricco e industrializzato Nord Italia. La nuova automobile, pertanto, non sarebbe stata costruita né a Milano né nelle aree circostanti. L’Alfa Romeo optò velocemente per lo stabilimento Alfa Romeo Avio di Pomigliano d’Arco, vicino a Napoli. Su questa vecchia area di proprietà dell’Alfa iniziò la costruzione di un nuovo insediamento industriale per dar vita al progetto denominato Alfasud. La pista di atterraggio dell’Alfa Romeo Avio fu sostituita da una pista di collaudo per veicoli. 240 ettari e 300 bilioni di lire furono messi a disposizione dell’Alfa Romeo. Altri 60 bilioni di lire furono erogati per lo sviluppo della vettura. Il 6% fu reso immediatamente disponibile dal governo, un successivo 44% arrivò poco più tardi.Gli eventi si svilupparono rapidamente. L’Alfa Romeo si ritrovò a dover selezionare 15.000 operai per la nuova fabbrica a fronte di 130.000 richieste di assunzione. Ma i lavoratori del meridione non erano sufficientemente specializzati, pertanto l’Alfa Romeo dovette convincere parecchi operai del nord a spostarsi a Pomigliano d’Arco.
Gli imprenditori dovevano creare le condizioni migliori per il nuovo contesto che si era venuto a determinare. Nello stesso momento la dirigenza della Fiat si infuriò contro l’idea Alfasud. La Fiat vide una rottura all’accordo stabilito e cercò con ogni mezzo di fermare il progetto, immaginando perfino un furto di documenti da parte dell’Alfa Romeo. Numerosi dipendenti Fiat furono sospettati di tradimento e la Fiat provò a ritardare la produzione dell’Alfasud prospettando i rischi del piano industriale ai vertici del governo nazionale che nel frattempo erano cambiati.Gli eventi sembravano mettersi contro l’Alfasud, ma il progetto non fu interrotto; la Fiat considerò rotto l’accordo tacitamente stabilito e introdusse la Dino e la 130.
Con i suoi 27 tecnici specializzati (in parte reclutati dalla Fiat, in parte dall’Alfa Romeo) Rudolf Hruska, l’ingegnere designato al progetto fin dall’inizio, entrò nella fase cruciale dell’opera.
Con un attento piano di sviluppo, Hruska, inaspettatamente, riuscì a mantenere i costi del progetto a 276 bilioni di lire: oltre il 10% meno dei preventivati 300 bilioni. Durante il lavoro, l’ingegnere fu costretto a mostrare continuamente ai vertici del ministero delle finanze italiano le evoluzioni del progetto. Alla fine, il lavoro di sviluppo si concluse in 48 mesi, che non sono da considerarsi tanti per la progettazione di un’auto completamente nuova (basti pensare alla Citroën DS).
I PAPA’ DELL’ALFASUD
Tutto cominciò dall’ufficio di Hruska a Milano, al quale collaboravano solo altre due perone. Successivamente, dopo la rapida conclusione della fase iniziale, al progetto furono assegnate numerose altre persone. A Domenico Chirico (proveniente da esperienze all’Autodelta e alla Porsche) fu affidata la progettazione delle sospensioni. Giorgetto Giugiaro, che poco tempo prima aveva fondato l’Ital-Design, in collaborazione con Carlo Felice Anderloni della Carrozzeria Touring,
fu responsabile del design. Aldo Mantovani venne incaricato dell’ingegnerizzazione con l’assistenza di Carlo Chiti (capo dell’Autodelta), Carlo Bossaglia sviluppò il motore, l’ingegner Agazzano e Federico Hoffman (progettista delle sospensioni) completarono il team. L’Alfa Romeo voleva una vettura economica e dai costi di gestione contenuti che mantenesse, però, il carattere tipicamente Alfa Romeo. Così, lo staff di ingegneri iniziò a lavorare intorno ad un nuovo concetto di Alfa Romeo.
La maggior parte delle tradizionali caratteristiche doveva ritrovarsi a bordo. Per contenere il consumo di carburante lo studio dell’aerodinamica rivestì particolare importanza. L’obiettivo fu quindi quello di realizzare un propulsore a quattro cilindri dall’altezza contenuta in modo da permettere un disegno del cofano motore particolarmente basso. Per favorire l’abitabilità si scelse di adottare la trazione anteriore. Anziché tra sedile posteriore e vano bagagli, il
serbatoio benzina fu collocato sotto il divano posteriore (questa posizione favoriva anche la sicurezza in caso di incidente). Oggi questa disposizione si ritrova praticamente su tutte le auto ed è indice di quanto l’Alfasud fosse innovativa per i suoi tempi.
I PROBLEMI DELL’ALFASUD
Sul finire del 1967 lo sviluppo del motore fu terminato e il 10 luglio del 1968 iniziarono i test. Il corpo vettura fu ultimato in settembre e Rudolf Hruska potè compiere il primo test completo giorno 1 novembre. Contemporaneamente, a Pomigliano d’Arco nasceva la nuova fabbrica. Il primo veicolo completato lasciò l’Italia per essere testato in ogni condizione: dal freddo del circolo polare artico alle torride temperature del continente africano. Dopo numerose difficoltà (come la raccolta dei pomodori, tipica attività che impegnava i lavoratori destinati ad entrare nelle linee di produzione del nuovo insediamento industriale) che rallentarono il processo di completamento, il 29 aprile 1968 fu inaugurato lo stabilimento di Pomigliano d’Arco. L’Alfasud fu presentata al pubblico al Salone dell’Automobile di Torino del 1971, ma il 1° aprile del 1972, con la produzione in serie della prima vettura, gravi problemi si manifestarono in tutta la loro interezza. Scioperi, conflitti sindacali e ritardi di vario genere interruppero ripetutamente la produzione determinando una qualità quasi catastrofica della nuova automobile.La produttività era pessima. L’Alfa Romeo aveva pianificato l’uscita di 500 vetture al giorno dalle catene di montaggio, e successivamente si prevedeva di passare a 1000 unità. Ma questi numeri rimasero ben lontani. All’inizio della produzione si costruivano solo 70 vetture al giorno. Quando fu lanciata la “ti”, 78.000 “berlina” avevano lasciato lo stabilimento di Pomigliano a fronte delle 175.000 previste. L’immagine dell’Alfa Romeo rischiava di affondare. Ogni Alfasud ultimata era peggiore della precedente. Il problema più grande era causato dalla ruggine che si manifestava diffusamente in tempi brevissimi. Si iniziò a prospettare una situazione simile a quella che affliggeva le BMW di allora (e altre auto di segmento superiore) che evidenziavano gravi carenze a causa della scarsa qualità delle lamiere provenienti dalla Russia.

Le speranze di Rudolf Hruska si rivelarono apocalittiche; la produzione fu interrotta più volte per via degli scioperi. Una volta, un addetto alla verniciatura si rifiutò di continuare a lavorare per via delle condizioni igienico-sanitarie. Così le carrozzerie rimaste ad asciugare furono subito attaccate dalla salsedine portata dal mare vicino. Furono 700 gli scioperi che interessarono la produzione. Per arginare il problema della ruggine si pensò di riempire tutte le cavità della carrozzeria con una speciale schiuma sintetica. Il risultato fu disastroso. Dopo un certo periodo di tempo l’acqua entrava nelle strutture trattate con la particolare schiuma che formava così una sostanza spugnosa che agevolava ancor di più la formazione della ruggine. Un concessionario tedesco rilevò il distacco del parabrezza già su alcune vetture trasportate sulle bisarche a causa di un’errata saldatura. Questo era solo uno dei più gravi problemi che affliggevano le prime Alfasud ed era ancora una volta imputabile ai metodi di lavoro approssimativi degli operai di Pomigliano d’Arco.
Fu deciso di migliorare il fissaggio del parabrezza, ma gli operai non recepivano l’accuratezza con la quale era necessario operare. Così la soluzione consistette nel fissare il parabrezza tramite una convenzionale guarnizione in gomma. Gli operai meridionali non avevano una sufficiente dimestichezza nella lavorazione dei fogli di lamiera. Per rimediare all’errore Hruska esaminò 14 vetture concorrenti, ma un inversione di tendenza sembrava impossibile. Per ottemperare all’economia l’Alfa Romeo aveva acquistato lamierati russi, ma a quel tempo nessun fornitore sembrava in grado di fornire elementi effettivamente inattaccabili dalla ruggine. I problemi comprendevano anche scricchiolii e rotture degli elementi in plastica dei rivestimenti interni.
Durante l’evoluzione dell’Alfasud i metodi di produzione non furono mai validamente sviluppati. Fino al 1984, ultimo anno di produzione, l’Alfasud si rivelò un disastro commerciale sia per il governo italiano che elargiva 50.000 lire per ogni vettura venduta, sia per l’Alfa Romeo. Nonostante tutti questi inconvenienti, l’Alfasud è ancora un’ottima auto dagli innovativi contenuti tecnologici.
Confrontata con le concorrenti era una delle automobili meglio equipaggiate. L’Alfa Romeo introdusse il cambio a cinque marce nella dotazione di serie molto prima che questo comparisse sulle concorrenti europee.
L’Alfasud portò al debutto il nuovo Motore boxer Alfa Romeo (soluzione che permise a Giugiaro di disegnare un frontale molto basso e sfuggente) raffreddato ad acqua di 1186cc. Non forniva prestazioni esaltanti coi suoi 63cv a 6000 giri, ma era pronto e disponibile nel salire di giri e, abbinato ad un cambio manuale a 4 marce, consentiva alla nuova Alfa Romeo di toccare i 153 km/h.
La commercializzazione della berlina a 4 porte iniziò nel 1972 ad un prezzo di 1.420.000 lire. Il successo fu buono, soprattutto per il comportamento stradale; unanimi i consensi da tutte le riviste di settore, sia italiane che estere, per la guidabilità complessiva, la tenuta di strada, la visibilità e lo spazio interno. Hruska, che era molto alto, aveva richiesto ai progettisti che l’abitacolo fosse così spazioso che, con una persona della sua altezza alla guida, un passeggero della stessa taglia stesse comodo sul sedile posteriore. La vettura tuttavia soffriva di grossi problemi qualitativi che ne rallentarono la diffusione. La carrozzeria presentava dopo pochissimo tempo (qualche mese nei paesi del Nord Europa) evidenti tracce di ruggine che aggredivano i parafanghi anteriori, gli archi interni delle ruote, i montanti intorno al parabrezza e lunotto, formandosi persino sui pannelli centrali. Oltre alla scarsa qualità costruttiva, l’assenza di servofreno (aggiunto solo nel 1973) e contagiri furono giudicate gravi dagli Alfisti, visto il prezzo abbastanza salato. Mentre alla base rimase la versione 1200 da 63cv con cambio a 4 marce (ora denominata Alfasud N), nel 1974 arriva la Alfasud L, con allestimento più ricco (sedili in panno, pavimento in moquette, appoggiatesta anteriori, rostri ai paraurti, profili cromati ai finestrini, finiture più curate) e motore migliorato nell’erogazione di coppia (9 kgm a 3200 giri anziché 8,5 a 3500) mitigò le critiche a finiture e dotazioni. Dal 1975 la L adottò il cambio a 5 marce, cambiando nome in Alfasud 5m, oltre che ad un migliore trattamento della lamiera del veicolo denominato “zincrometal” che consenti sulle successive versioni di limitare i grossi problemi di ruggine che le prime versioni del modello presentavano
Nel 1973 arrivò la versione Alfasud Ti a 2 porte, con allestimento sportivo. Le differenze, oltre al numero di porte, riguardavano:
Nuovi gruppi ottici a quattro proiettori circolari
Indicatori di direzione anteriori sui paraurti anteriori
Rostri ai paraurti
Cerchi specifici (in lamiera) e pneumatici maggiorati
Spoiler anteriore (sotto al paraurti) e alettone perimetrale posteriore nero (che riducono il CX a 0,39)
Tergicristalli, montante centrale e griglie di sfogo nere.
L’interno era più curato grazie ai nuovi sedili sportivi con fascia centrale in tessuto e fianchetti in skai, ai poggiatesta anteriori, al volante a tre razze, alla moquette sul pavimento ed alla dotazione che comprendeva finalmente il contagiri, il manometro dell’olio e il termometro dell’acqua. Dal punto di vista tecnico si segnalavano il motore potenziato a 68cv (grazie ai nuovi alberi a camme e al carburatore doppio corpo), il cambio a 5 marce ed il servofreno. Nel 1976 la cilindrata del motore aumentò a 1286cc e la potenza passò a 75cv. Posteriore della Giardinetta prima serie
Nel 1975 debuttò la versione station wagon a 3 porte denominata Giardinetta. L’allestimento era quello della berlina standard, ma il motore adottava le specifiche della L. La linea poco riuscita ne limitò notevolmente il successo.

L’Alfasud è stata eletta “Auto degli anni Settanta” dalla rivista CAR
Con 1.017.387 unità, l’Alfasud (comprese ti, Sprint e Giardinetta) è una delle Alfa Romeo costruita nel maggior numero di esemplari.
Alfa Romeo Alfasud-Bimotore Ti
Il preparatore di questo modello davvero originale è il celebre Gian Franco Mantovani Wainer ben noto a tutti gli estimatori di Alfasud nonchè della velocità.. Una macchina senza dubbio originale e innovativa derivata dalla prima serie della Ti e che montava due propulsori; uno anteriore legato all’avantreno ed uno posteriore legato al retrotreno che assicuravano una trazione integrale in un epoca in cui le 4×4 non erano molto diffuse. Secondo lo stesso Mantovani la Bimotore era particolarmente indicata per la Targa Florio oltre che per il Rally Safari d’Africa;qui avrebbe dato filo da torcere alle indistruttibili Escort, Saab, Datsun e Peugeot. La presenza di due motori consentiva accelerazioni brucianti 0/100 in 8,2 secondi. Secondo alcune prove su strada l’auto in partenza dà l’impressione di “sollevarsi” sia anteriormente che posteriormente; unico difetto è la notevole rumorosità. La Bimotore fu protagonista poi di diverse situazioni; fu infatti chiesto dal politecnico di Genova al signor Mantovani il modello per studiarne le caratteristiche. Mentre la foto a lato si riferisce a quando la Bimotore aprì una gara automobilistica a Cortina D’AmpezzoIL DESIGN La linea della Bimotore è rimasta quasi completamente quella della ti serie 1 se non per alcuni particolari. La carrozzeria 3 porte rosso Alfa ospita le scritte bianche “Alfasud Wainer Bimotore” oltre a due linee dello stesso colore che attraversano la parte superiore dell’auto. Lo spoiler posteriore rimane distintivo del modello d’origine mentre quello anteriore non più in tinta ma nero è caratteristica della Wainer. La grande differenza dal modello base sta nelle prese d’aria laterali nere destinate a alimentare e raffreddare il secondo motore per la cui presenza si sono dovuti sacrificare i sedili posteriori. Infatti osservando l’auto anche dall’esterno è facilmente visibile il cassone scomponibile che ospita il propulsore.
LA MECCANICA Il modello preparato monta 2 motori boxer a quattro cilindri ciascuno. Ognuno di essi ha la cilindrata di 1186 cc, la potenza di 79 cavalli ed è dotato di un proprio carburatore a doppio corpo, un cambio ed una frizione; risulterebbe infatti difficile, pur utilizzando un unico comando, avere un solo cambio e una sola frizione per due motori così “distanti”. Per ovvie necessità il posteriore è raffreddato da due radiatori con elettroventole a termostato poste vicino alle prese d’aria laterali. Comunque è possibile anche azionare un solo motore alla volta ma per la marcia entrambi devono girare.
L’ALLESTIMENTO La posizione di guida è la stessa del modello d’origine quindi con marcati caratteri sportivi, la strumentazione appare ricca ed elegante e presenta la particolarità di essere doppia per conoscere sempre le condizione di entrambi i propulsori. Tra i due sedili sono collocati su una plancia due bottoni per “selezionare” i motori che una volta girata la chiave si accenderanno.
ALFASUD L – 1974/1976
IL DESIGN Alla fine del 1974 inizia la produzione della versione L “Lusso” che verrà distribuita solo nel gennaio del 75. Il modello è dotato di un allestimento superiore che presenta paraurti metallici con rostri gommati, profilo cromato alla base delle portiere e sul bordo del cofano posteriore e naturalmente sigla L stampata sul retro. In Inghilterra la L prendeva il nome di SE (Special Equipment).
LA MECCANICA La Alfasud L monta il solito boxer 1.2 da 63 cavalli, mentre il peso ha raggiunto gli 865 kg a vuoto. Presentando le migliorie introdotte nel 73, il carburatore è migliorato con un sistema di recupero del carburante e lo sterzo è reso più confortevole diminuendo le fastidiose vibrazioni.
L’ALLESTIMENTO La L ovviamente ha un allestimento superiore per l’epoca. Vantava infatti: volante con impugnatura maggiorata, plancia imbottita centralmente, poggiatesta anteriori, sedili e “pavimenti” coperti in stoffa, vano portaoggetti chiudibile, portacenere nei braccioli delle porte posteriori, lavavetro elettrico, controllo luminoso del riscaldamento e a richiesta: contagiri.
ALFASUD SPRINT 1974/1989
iL DESIGN Come è accaduto per la ti anche in questo caso l’Alfasud eredita un nome glorioso, che fu utilizzato la prima volta per la 1900 C del 1951. L’idea era quella di effigiare la gamma con una coupè sportiva come era avvenuto in passato (per esempio con la Giulietta). Il design viene affidato a Giugiaro. Il modello non deve essere confuso con l’Alfetta GT (successivamente GTV) che in effetti può sembrare molto simile per certi aspetti. La carrozzeria è due porte, i doppi fari anteriori erano e sono ancora un distintivo di sportività. I paraurti sono cromati con protezione in plastica nera come nero è anche il montante centrale; il retrovisore sinistro è di serie. Nel 1978 l’introduzione dei nuovi motori dà l’occasione per introdurre delle piccole modifiche, per esempio gli indicatori di direzione laterali che passano da davanti (come nella berlina) a dietro le ruote anteriori.
LA MECCANICA Dal 76 al 79 si possono trovare ben tre motorizzazioni per questo modello: il vecchio e nuovo 1.3 e il 1.5. L’Alfasud Sprint monta inizialmente il propulsore 1.3 (1286) da 87 CV SAE (76 CV)¹ che per la prima volta viene impiegato. La velocità raggiungibile è di 165 km/h. Nel 1978 vengono usate le due nuove motorizzazioni impiegate per la ti “serie 2” con la conseguente uscita di scena del vecchio 1.3. E’ disponibile il 1.3 (1350) da 79 CV e il 1.5 da 85 CV che raggiunge i 170
ALFASUD CAIMANO – 1971 –
L’Alfasud Caimano venne presentata al pubblico contemporaneamente alla Berlina in occasione del 53° Salone dell’Automobile di Torino del 1971. Il disegno è di Giugiaro. Il pubblico rimase sorpreso dalle notevoli differenze estetiche dell’auto che pur condiveva il medesimo pianale dell’Alfasud. Sotto l’enorme parabrezza che si estendeva fino a tutta la parte superiore della vettura formando una sorta di cupola, trovavano posto due soli occupanti dinanzi ai quali si poneva un avveniristico cruscotto. L’accessibilità alla vettura si otteneva sollevando la cupola trasparente.
Il cruscotto alloggiava degli inediti strumenti di foggia rettangolare. Si trattava di tachimetro, contagiri, termometro acqua, manometro olio e indicatore livello carburante. Sotto era posizionata una serie di spie luminose. Il volante aveva due sole razze e somigliava a quello delle Ford Escort dei primi anni Ottanta. Guidatore e passeggero sedevano su sedili reclinabili. Se non brillava il sole il confort era piuttosto buono. Per via dell’assenza di un condizionatore d’aria le temperature nell’abitacolo della Caimano potevano diventare insopportabili in presenza di forte sole. Il motore era il boxer con potenza di 63 CV. Giugiaro avrebbe voluto disegnare un cofano senza alcuna piega, ma così non sarebbe stato possibile installare il boxer Alfa. All’accensione delle luci fuoriuscivano i priettori a scomparsa. Nella parte posteriore era ricavato un piccolo vano bagagli.
La Caimano era lunga 3920 mm, larga 1650 e alta 1090.
La Caimano si può osservare da vicino al Museo Storico Alfa Romeo di Milano.
CAIMANO
Nell’estate del 1983 l’Alfa Romeo ne presenta l’erede, l’Alfa 33 che, pur condividendo la meccanica della sua progenitrice, ha una carrozzeria interamente nuova. Nel 1984 l’Alfasud esce definitivamente dai listini. Sopravvive invece la Sprint, che rimane in vendita fino al 1989.
The first reason is that the sleigh bed have
an ‘S’ shaped design in their head board as well as foot board.
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Lava lamp – Lava lamps were huge in both the 60s and the 70s.